Ninja Hunter

Fan fiction su Hunter x Hunter

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  1. -NihalShan-
     
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    Vabbè ormai lo sapere che mi piace scrivere fan fiction! XD
    Questa è su Hunter x Hunter, uno dei miei anime preferiti (: è una specie di mix con Naruto, in un certo senso.
    Non è molto bello il primo capitolo, però fatemi sapere che ne pensate!

    Ninja Hunter


    La decisione di Miiko



    Miiko correva senza voltarsi, veloce. I suoi lunghi capelli castani sventolavano nell’aria. Aveva il fiatone e non sapeva di preciso da quanto correva, o meglio, scappava. Sapeva solo che era in marcia da molti minuti ormai. Era dotata di grande resistenza, grazie al suo addestramento da ninja.
    Fuggiva dal suo villaggio, da ciò che aveva appena commesso. Si sentiva sporca, sulle mani aveva ancora il sangue dell’uomo che aveva ucciso. Il suo odore acre le impregnava le narici, causandole un senso di nausea. Sangue. Ecco da cosa era caratterizzata la vita degli uomini. Sangue versato inutilmente.
    Miiko arrivò nei pressi di un boschetto. Si fermò, mettendosi con le mani sulle ginocchia. Le mancava il fiato e le doleva la milza per il troppo correre. Non aveva mai percorso una distanza grande come quella.
    Camminando si avvicinò a un albero e si sedette, poggiando la schiena contro il tronco. Il suo petto si muoveva su e giù velocemente a causa del fiatone. Miiko provò a calmarsi, facendo dei respiri profondi. Chiuse gli occhi e dopo un attimo riuscì a tranquillizzarsi. Aprì gli occhi. Era tutto buio, si vedeva poco o niente. Le tenebre erano calate ormai da un pezzo. Sbuffò. Amava il buio, ma in quel momento avrebbe dovuto tenere i sensi all’erta, per non rischiare di finire ammazzata. Nonostante ciò, la stanchezza si faceva sentire. Decise di concedersi un po’ di meritato di riposo e si sdraiò. Aveva il sonno leggero e, se qualcuno fosse arrivato, lo avrebbe sentito, grazie anche al suo udito ben sviluppato.
    Il sonno prese il sopravvento e lei si trovò in buio più intenso di quello che era calato sul mondo.

    Miiko era una giovane ragazza, cresciuta in un villaggio vicino al mare. Era bassina e aveva i capelli castani con varie sfumature. Il suo era un carattere estroverso, spesso anche troppo.
    Era sempre stata affascinata da combattimenti e simili. Il suo sogno era diventare una guerriera. Una ninja, per la precisione.
    Iniziò il suo addestramento ad appena cinque anni, alla scuola ninja del suo villaggio. Sua madre non era convinta della sua scelta e neanche suo padre, anche se era contento che la figlia volesse seguire le orme paterne. Kaito era un ninja, uno dei migliori del villaggio. Viveva per combattere, per difendere le persone che amava. Nel profondo del suo animo, sperava che anche Miiko volesse diventare come lui. Quando la bambina gli aveva annunciato che aveva intenzione di diventare ninja, si era sentito orgoglioso. Orgoglioso di quello scricciolo combina guai che aveva per figlia. Decise che, oltre alle lezioni a scuola, sarebbe stato opportuno insegnarle qualcosa anche a casa.
    Miiko crebbe con un ideale preciso: combattere, difendere la gente. Voleva essere come suo padre e anche meglio. Era lui il suo mito: quell’omone dalle spalle larghe, che le somigliava tantissimo. Lo seguiva nei suoi allenamenti. Amava guardarlo esercitarsi, era una specie di hobby. Ogni volta che lo osservava imparava qualcosa di nuovo: una mossa, una finta per distrarre l’avversario o un modo per colpire ai punti vitali. Non voleva uccidere, però. Sapeva che un ninja doveva anche ammazzare le persone, ma lei non voleva. Aveva paura di sporcarsi le mani di sangue, paura della “punizione divina”, così la chiamava Kaito.
    La giovane combattente divenne ninja a tutti gli effetti ad appena dodici anni. Il padre era felice, tanto che organizzò una festa in suo onore.
    «Ora sei una ninja. Sono fiero di te» le disse quella sera, mentre erano seduti in giardino ad ammirare le stelle. Miiko fece una risatina contenta.
    «Papino, io voglio essere come te!» esclamò entusiasta. Kaito le mise un braccio intorno alle spalle e la strinse a sé, affettuoso come solo un padre sa essere.
    «Sei cresciuta. Ricordati una cosa, è fondamentale per quelli come noi. Quando combatti…»
    «… pensa sempre alle persone che ami cosicché ti diano la forza» completò per lui Miiko con voce cantilenante. Kaito rise e le arruffò i capelli.
    «Sarai una grande ninja, me lo sento».

    Miiko aveva quindici anni, quando scappò dal villaggio e quando successe il disastro.
    Era sul balcone della sua camera e guardava le stelle. Sembravano dei puntini fatti con la tempera gialla su una tela blu. Le piaceva immaginarle così.
    Mente era assorta nei suoi pensieri udì delle voci che discutevano al piano di sotto. Non aveva una bella sensazione. Si alzò e andò nella sua stanza. Prese in mano la sua katana, la bellissima katana che le aveva regalato Kaito per i suoi quindici anni, e scese le scale. Si diresse in cucina e si posizionò fuori dalla porta, origliando.
    «Fatti ammazzare e non faremo del male a tua moglie» disse una voce maschile e profonda. Miiko, allarmata, aprì la porta, quel tanto che bastò per vedere la scena. C’erano due uomini vestiti di nero. Avevano i cappucci in testa, per cui la giovane ninja non li vide in volto. Uno di essi teneva sua madre e le puntava un kunai alla gola. L’altro minacciava suo padre con una katana.
    Miiko aveva paura, sentiva un vuoto allo stomaco e mille domande le frullavano in testa: chi erano quei due? Ma soprattutto, perché erano a casa sua?
    Voleva entrare e difendere i suoi genitori, ma sapeva che, probabilmente, se avesse fatto irruzione nella stanza, i due uomini in nero avrebbero fatto del male alla sua mamma e al suo papà. Decise di intervenire in caso di estremo bisogno.
    D’un tratto, mentre pensava a cosa fare, udì un tonfo. Guardò oltre lo spiraglio e ciò che vide le fece provare rabbia, una rabbia immensa. Le sembrava che dentro il suo corpo di fosse acceso un fuoco che le bruciava le viscere. Sua madre era a terra, distesa a pancia in su. Aveva gli occhi sbarrati e sulla gola si distingueva un lungo taglio rosso, dal quale sgorgava del sangue.
    «Riiko!» urlò Kaito avvicinandosi al cadavere della moglie. «L’avete uccisa, bastardi!» continuò ad urlare buttandosi sui due uomini. Miiko guardava le scena da fuori. Le lacrime avevano iniziato a rigarle le guance e scorrevano impetuose. Il fuoco che aveva in corpo continuava ad ardere. Sua madre, la sua mamma, la donna a cui voleva più bene al mondo, era stata uccisa da due sconosciuti venuti chissà da dove. In quel momento, la ragazza decise di intervenire e di aiutare suo padre. Non voleva perdere anche lui. Con la katana in mano irruppe nella piccola cucina e si lanciò contro i due assalitori.
    «Miiko, che cosa fai? Stai ferma, ti faranno del ma…», le parole di Kaito si bloccarono, quando uno dei due uomini gli ficcò la katana piantata nel cuore. L’uomo cadde a terra, gli occhi sbarrati e una smorfia di dolore.
    «Papà!» urlò Miiko. Poi girò lo sguardo verso gli sconosciuti. Sentiva che il fuoco ardeva ancora di più. Smise di pensare e si lasciò guidare solo dall’istinto e dalla furia omicida che sentiva dentro. Si buttò contro l’assassino di suo padre e iniziò a lottare. Gli tirò un fendente dritto al polso, che gli fece volare via di mano la spada. Fatto questo infilzò la katana nel suo petto. L’uomo cadde a terra senza neanche un lamento.
    Miiko si voltò verso l’altro, quello che aveva ucciso sua madre, ma rimase sorpresa nel constatare che non c’era più. Era scappato. La ragazza sentiva una voce dentro di sé che le ordinava di scappare. Si guardò intorno. Nella cucina, a terra, c’erano i cadaveri dei suoi genitori e dell’uomo che aveva appena ammazzato. Sentì gli occhi che le ribollivano e le lacrime che iniziavano ad uscire. I suoi genitori erano morti. Kaito e Riiko non c’erano più. Si avvicinò al cadavere della madre e le chiuse gli occhi, ma quando staccò la mano dal suo volto, si accorse di averla sporcata di sangue. Osservò le sue mani. Il sangue dell’uomo che aveva appena ucciso aveva fatto diventare le sue mani rosse. Miiko sentì un conato di vomito salirle dallo stomaco. La voce dentro di lei continuava a dirle di scappare. Si guardò intorno. Doveva abbandonare quella casa. Probabilmente l’uomo che era scappato le avrebbe dato la caccia. Prese il suo equipaggiamento da ninja e corse via, nella notte.


    Miiko si svegliò con l’arrivo dell’alba. Si alzò lentamente dal suo giaciglio improvvisato, stiracchiandosi. Si guardò le mani. Il sangue dell’uomo che aveva ucciso era ormai seccato. Fece una smorfia. Doveva lavarsi, non sopportava più la vista di quella sostanza vermiglia. Si incamminò all’interno del bosco. Dopo qualche minuto di cammino sentì un rumore: acqua corrente. Si avvicinò dove proveniva il rumore e trovò un torrente. Si inginocchiò sulla sponda e immerse le mani nell’acqua, sfregandole. Il sangue si tolse e Miiko si sentì, in un certo senso, pulita.

    Il bosco non era grandissimo e, dopo poco tempo di cammino, Miiko uscì e percorse un sentiero che conduceva in un villaggio. Per le vie c’era molta gente: donne e uomini che chiacchieravano, bambini che giocavano e che passeggiavano con i genitori. A quella vista, il cuore di Miiko si strinse. Abbassò lo sguardo per nascondere una lacrima che le stava uscendo dall’angolo dell’occhio. Se l’asciugò violentemente. Un ninja non piange mai, un ninja non piange mai, ripeté mentalmente. Alzò nuovamente lo sguardo e si guardò intorno. La sua attenzione fu catturata da un volantino che troneggiava sul muro di una casa. Andò vicino ad esso per leggere cosa c’era scritto: “Gli esami per diventare Hunter inizieranno tra poco! Vuoi partecipare? Iscriviti!
    Hunter. Quella parola non le era nuova. Kaito le aveva parlato degli Hunter. Suo zio Sousuke era un Hunter, lo sapeva nonostante non lo avesse mai visto. In quel momento un folle pensiero attraversò la testa di Miiko: voleva partecipare a quell’esame.
     
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  2. •»Cuccìolà!×
     
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    Non male, anzi! *-*
    stai imparando, si è decisamente bello!! :wub:
     
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  3. -NihalShan-
     
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    Grazie (:
    Il secondi capitolo fa schifo, compatitemi (?)

    Capitolo 2
    Nuove conoscenze



    «Ragazza! Ragazza, svegliati!»
    Quella mattina, Miiko fu svegliata da una vocetta infantile. Aprì lentamente gli occhi e si accorse di essere sdraiata sull’erba. Aveva dormito sotto un albero, di nuovo. Si mise a sedere, stropicciandosi gli occhi e si guardò intorno. Ricordava di essere arrivata in quel posto la sera prima, dopo aver chiesto informazioni su come raggiungere il luogo in cui si sarebbe tenuto l’esame per diventare Hunter.
    Sbadigliò, portando una mano davanti alla bocca, e si voltò verso chi l’aveva svegliata. Era un bambino, doveva avere massimo undici anni. Aveva i capelli neri pettinati a spazzola e dei grandi occhi marroni, che la scrutavano vivaci e curiosi. Era vestito tutto di verde e in spalla portava una canna da pesca. Probabilmente era un abitante dell’isola e Miiko sentì che poteva, in qualche modo, fidarsi di lui.
    «Ciao!» la salutò allegro.
    «Ciao» rispose Miiko facendo una smorfia che somigliava vagamente ad un sorriso.
    «Posso chiederti una cosa?» domandò il bambino. Miiko annuì. «Mi fai vedere la tua spada?»
    Miiko sbarrò gli occhi, incredula. Quello strano bambino l’aveva svegliata solo per vedere la sua spada? Dedusse che, quindi, se non avesse avuto con sé la sua katana, avrebbe potuto dormire per tutto il giorno e il bimbo non l’avrebbe svegliata.
    Decise di fargli vedere la katana e di accontentarlo. Mise una mano dietro la schiena e la afferrò per il manico. La tirò fuori dalla custodia e la mise dinnanzi a sé per farla vedere al bambino. La lama brillò con la luce del sole mattutino. Il bimbo rimase a bocca aperta.
    «Che bella!» esclamò contento. «Perché vai in giro con una spada?»
    Miiko rimise la katana nella custodia che portava appesa con una cintura alla vita.
    «È una katana, la mia arma. Sono una ninja» spiegò brevemente.
    «Perché sei qui?» domandò il bambino curioso.
    «Sto andando a fare un esame. L’esame per diventare Hunter».
    Il bambino rimase sorpreso alle parole di Miiko.
    «Vuoi diventare un Hunter? Anche io! Infatti parto proprio questo pomeriggio!» disse. «Ti va se andiamo insieme?»
    Miiko fece un sorriso. Quel bambino le ispirava tanta tenerezza.
    «Va bene» gli rispose.
    «Non mi sono ancora presentato, comunque!» esclamò lui mentre si alzavano. «Io mi chiamo Gon e ho dodici anni! Tu invece come ti chiami?»
    «Mi chiamo Miiko e ho quindici anni» rispose la ragazza. Quando si mise di fianco a Gon, però, pensò che non sembrava una ragazza di quindici anni, ma ne dimostrava dodici come lui. Infatti, erano alti uguali.
    «Vieni a casa mia? Ti posso offrire da mangiare», in quel momento lo stomaco di Miiko brontolò, «sembri affamata» aggiunse Gon con una risata.

    La casa di Gon era piccola, ma molto accogliente. Viveva con sua nonna, una simpatica vecchietta, e sua Mito, una bella donna, alta, con gli occhi verdi e i capelli color rame. Ambedue erano rimaste sorprese nel veder entrare in casa Gon accompagnato da una ragazza vestita come un maschio e che girava con una katana appesa alla vita. Miiko si era accorta dello stupore delle due donne e aveva cercato di essere il più educata possibile, per far vedere che anche lei aveva un minimo di femminilità.
    «Perché vuoi diventare Hunter?» chiese Gon. Lui e Miiko erano seduti al tavolo della cucina e stavano mangiando.
    La ragazza ingoiò un boccone e ci pensò su.
    «Sinceramente non lo so neanche io» rispose. «Poco tempo fa mi trovavo in un villaggio e ho trovato affisso un cartello che parlava di un esame per diventare Hunter, così di punto in bianco ho deciso di partecipare. Se non ricordo male, mio zio è un Hunter» spiegò. «E tu?» chiese a Gon.
    «Voglio diventare un Hunter perché è il lavoro del mio papà!» esclamò con un ampio sorriso. «Pensa che io non lo sapevo neanche! Fino a qualche giorno fa pensavo fosse morto e invece, mentre ero nel bosco ho incontrato un Hunter di nome Kaito che mi ha detto di essere un suo allievo!»
    Kaito. All’udire di quel nome il cuore di Miiko fece una capriola e sentì un gran vuoto dentro. Non sopportava di sentire il nome di suo padre. Non aveva ancora concepito bene il fatto che lui non ci fosse più.
    «Che ti succede?» domandò curioso Gon quando vide che Miiko aveva abbassato lo sguardo.
    «Niente, scusa» disse alzando gli occhi e guardando il suo interlocutore. «E solo che hai detto che l’allievo di tuo padre si chiama Kaito».
    Gon annuì, curioso di sapere il perché di quella strana reazione nell’aver sentito quel nome.
    «Era anche il nome di mio padre» lo informò Miiko volgendo nuovamente gli occhi al legno del tavolo. Gon rimase in silenzio, fino a quando la ragazza non ricominciò a mangiare.
    «Invece a me è morta la mia mamma» disse. «Non l’ho mai conosciuta. Vivo con la nonna e zia Mito da quando ero piccolo».
    «Anche mia mamma è morta. È successo tutto un paio di settimane fa» dichiarò Miiko, dopo aver bevuto un sorso d’acqua.
    «Posso chiederti come?»
    «Sono stati assassinati da due uomini che non conosco. Non so neanche che faccia abbiano, però sento che devo fargliela pagare. Uno l’ho già ucciso, ma appena troverò l’altro non gli farò passare un bel momento».
    Miiko rimase stupita delle sue stesse parole. Aveva appena dichiarato che avrebbe ucciso un uomo, lei, che per anni e anni aveva sempre detto che mai nella sua vita avrebbe messo fine alla vita di qualcuno. Si sentì terrorizzata da ciò che era appena uscito dalla sua piccola bocca.
    «Scusa» disse a Gon. «Devo esserti sembrata una specie di assassina, ma ti assicuro che è tutto il contrario. Fino a quella maledetta sera non ho mai ucciso nessuno».
    «Tranquilla. Non mi hai spaventato. Guardandoti in faccia, capisco che sei una persona di cui mi posso fidare».
    Guardò Gon e sorrise, per ringraziarlo di ciò che aveva appena detto. Forse si era appena guadagnata un nuovo amico.

    La città era caotica, in giro c’era tantissima gente. Miiko si sentì soffocare da tutta quella folla. Era abituata al suo villaggio, dove c’erano molti abitanti, ma le strade non erano caotiche.
    Gon camminava al suo fianco, la canna da pesca posata sulla spalla e lo zainetto con dentro alcuni viveri datagli da sua zia e sua nonna.
    «Quanta gente!» esclamò Miiko, spintonando un uomo che non la faceva passare.
    «Miiko! Guarda lì, andiamo a vedere che succede!» ordinò Gon indicando un punto in cui la folla era più compatta.
    I due si avvicinarono. Al centro della strada c’era un piccolo palco, sul quale un uomo proclamava a gran voce: «Avanti, signori! Chi vuole sfidare questo Hunter?»
    L’Hunter in questione era sul palco, a fianco dell’uomo. Aveva uno sguardo duro e cattivo e un ghigno malefico. Miiko si voltò verso Gon. Aveva la bocca semiaperta e gli occhi che brillavano. Probabilmente era eccitato all’idea di avere un Hunter a pochi passi.
    «Nessuno che si offre?» domandò un’altra volta l’uomo che urlava.
    D’un tratto dalla folla emerse un signore. Era vestito in un modo elegante, con giacca e cravatta. Portava degli occhialetti da sole e una valigetta a mano.
    «Mi offro io!» disse salendo sul palco.
    Si posizionò di fronte all’Hunter. I due erano divisi da una cassa, sulla quale poggiarono i loro gomiti. Si strinsero le mani e, al via dell’uomo urlante, iniziarono a spingere con le braccia, uno da una parte e l’altro dall’altra. Stavano facendo una sfida a braccio di ferro.
    Che prova squallida, pensò Miiko. Spero che non tutti gli Hunter facciano certe sfide.
    Alla fine, il signore elegante perse e si allontanò dal palco, piuttosto contrariato.
    «Miiko, seguiamolo!» disse Gon. La ragazza lo guardò con gli sgranati.
    «Perché, scusa?» chiese.
    «Perché voglio chiedergli quale nave dobbiamo prendere per raggiungere l’isola. Dai, andiamo!» le spiegò, prendendola per un braccio e trascinandola.
    «Va bene, ma sappi che non m’ispira granché. Ha tutta l’aria di avere la puzza sotto il naso» disse la ninja rassegnata.
    I due si posizionarono esattamente dietro al signore ed iniziarono a seguirlo.
    «Signore! Scusi, signore! Non è che ci potrebbe dire che nave dobbiamo prendere per raggiungere l’isola Don?» strillava Gon. L’uomo non lo ascoltava nemmeno e continuava a camminare, velocemente.
    L’inseguimento dei due giovani durò per parecchio tempo. Il signore elegante non li degnava di uno sguardo.
    Ad un certo punto, approfittando del fatto che un mercante si era allontanato dalla bancarella, si avvicinò e prese alcuni pesci, per poi scappare.
    Gon e Miiko, però, non mollavano e continuarono a cercarlo anche quando era sparito. Lo trovarono poco dopo, in spiaggia, che mangiava i pesci rubati, abbrustoliti.
    «Guardalo lì! Quel ladro imbecille!» strillò Miiko arrabbiata.
    «Miiko calma…», la voce di Gon fu interrotta da un urlo del signore, che inveiva contro un uomo che gli aveva rubato la valigetta.
    «Ben gli sta!» disse Miiko soddisfatta.
    «Meglio riprenderla».
    Dette queste parole, Gon lanciò la lenza della sua canna da pesca verso il ladro e riuscì ad afferrare la valigetta, che restituì prontamente al signore.
    «Sei troppo buono, Gon» lo accusò Miiko. «Basta che dopo questo atto di bontà, l’elegantone risponda alla nostra domanda».

    La nave che avrebbero dovuto prendere si chiamava “Dio dei Mari” e sarebbe salpata alle sei di quel pomeriggio. Il signore aveva accontentato le loro richieste, dopo che Gon recuperò la sua valigetta.
    Alle cinque i due ragazzini erano già al porto, pronti per andare verso l’isola Don, dove si sarebbe tenuto l’esame per diventare Hunter. Prima della partenza, però, incontrarono nuovamente l’uomo che urlava sul palco in mezzo alla strada. In quel caso, era davanti ad un edificio e annunciava che al suo interno c’era una mostra di animali rari.
    «Andiamo a vedere?» domandò Gon a Miiko.
    La ragazza assentì. I due entrarono nell’edificio. Al suo interno vi erano delle gabbie e una signorina spiegava che animali erano quelli rinchiusi al loro interno. L’attenzione di Gon fu subito catturata da una grande gabbia in cui dentro c’era un grosso animale, che la guida definì “un esemplare di volpe orso”. Miiko non aveva mai vista una.
    «Nel bosco vicino a casa mia c’erano una mamma e il suo cucciolo. Erano delle volpi orso. Ci ho stretto amicizia» raccontò Gon.
    «Hai stretto amicizia con degli animali?» gli chiese Miiko alzando un sopracciglio.
    «Sì, sono simpatici gli animali!» sentenziò Gon avvicinandosi alla gabbia della volpe orso. L’animale si avvicinò alle sbarre con fare minaccioso, mentre il ragazzino la guardava beato e con il sorriso in volto. La guida lanciò un urlo, implorando Gon di non andare troppo vicino alla gabbia, perché l’animale era pericoloso. Nonostante le sue richieste, l’aspirante Hunter rimase al suo posto e, piano piano, la volpe orso si calmò e si abbassò, per lasciarsi accarezzare.
    Miiko aveva guardato la scena a bocca aperta. Gon era appena riuscito a far stare calmo un animale molto grosso, che, in quel momento, si lasciava accarezzare come un gattino. La ragazza sorrise e si mise a braccia conserte, scuotendo la testa in segno di diniego. Conosceva Gon da poco, ma quel poco le era bastato per capire che era speciale e che aveva qualcosa di particolare.
    Nel frattempo era entrato nell’edificio anche il signore elegante e, ad un tratto, irruppero due uomini, correndo. Miiko si girò all’istante. Riconobbe uno dei due. Era l’Hunter che sfidava la gente in mezzo alla strada.
    «Che succede qua?» chiesero quando arrivarono.
    «Quel bambino ha accarezzato la volpe orso che presa alla sprovvista e in preda allo sconvolgimento gli ha leccato la mano!» spiegò la guida, strillando isterica.
    «Mi crei dei problemi disturbando la mia attività. Anche se sei un bambino non mi farò alcuno scrupolo» disse l’uomo che accompagnava l’Hunter, rivolto verso Gon. Miiko capì che le cose si stavano mettendo male e decise di intervenire nella discussione, prima che succedesse qualcosa.
    «Cosa intende con la frase “non mi farò alcuno scrupolo”?» domandò avvicinandosi.
    D’un tratto un ruggito fece fare un balzo a tutti i presenti. La volpe orso aveva allungato una zampa fuori dalla gabbia e digrignava i denti. Miiko, cercando di capire cosa stesse accadendo, guardò verso l’Hunter e notò che in mano portava una gabbietta. Al suo interno vi era un cucciolo di volpe orso. Probabilmente era il figlio dell’esemplare in gabbia.
    «Intendo questo, ragazzina» disse prendendo Gon.
    «Cosa crede di fare?»
    La mano di Miiko corse all’elsa della katana e la tirò fuori dalla custodia, puntandola contro l’uomo.
    «Lasci andare subito Gon».
    «Miiko! Lascialo perdere! Lui è un Hunter, è troppo forte per te!» esclamò Gon all’improvviso. La ragazza abbassò la spada.
    «Ascolta le parole del tuo amichetto, bambina» le disse l’Hunter.
    Gon se ne andò con lui. Miiko però non voleva arrendersi. Lo avrebbe liberato.

    «Ragazzina! Ti chiami Miiko, giusto?»
    La giovane ninja si girò verso la voce. Era fuori dall’edificio dove si era tenuta la mostra degli animali, piena di rabbia. L’uomo che aveva parlato era stato il signore elegante.
    «Sì, è il mio nome» rispose. «Cosa vuole, signore?»
    «Smettila di chiamarmi solo signore! Tu e il tuo amichetto dovete chiamarmi signor Leorio!» protestò indignato. «Comunque, so come liberarlo» spiegò mostrandole una chiave. «Seguimi».
    Nonostante fosse riluttante, Miiko decise di seguire il “signor Leorio”. Chissà che sarebbe potuto tornarle utile.
    «Come ha fatto a trovare la chiave?»
    «Rubata. E dammi del tu, mi fai sentire decrepito dandomi del lei. Guarda che non sono così vecchio».
    «Va bene, Leorio».
    Miiko sentiva che quell’uomo iniziava a starle antipatico. Era troppo pieno di sé e si considerava troppo giovane.
    L’edificio era buio, vuoto e tetro e i passi di Miiko e Leorio risuonavano amplificati. Gon era in una gabbia e sembrava piuttosto sconsolato. Il gong che annunciava che la nave sarebbe salpata di lì a pochi minuti aveva già suonato.
    «Gon! Siamo venuti a salvarti!» esclamò Miiko correndo verso di lui. «Mi ha aiutato il nostro caro amico» spiegò lanciando un’occhiata a Leorio e mostrando la chiave.
    «Ma la nave non salpa tra poco?» domandò Gon.
    «La prenderemo in qualche modo» rispose Miiko facendogli l’occhiolino.

    I tre corsero fuori dall’edificio.
    «Ma chi me l’ha fatto fare?» urlava Leorio. «Ragazzini, muovetevi!» ordinò a Miiko e Gon girandosi.
    I due erano fermi dinnanzi alle gabbie e le stavano aprendo. Avevano deciso di liberare gli animali. Soprattutto Gon, non sopportava vedere gli animali costretti a stare rinchiusi.
    Quando tutte le gabbie furono aperti, una mandria di animali corse fuori dall’edificio e andò per le strade della città. Gon e Miiko si godevano la scena.
    «Fermatevi!» strillarono all’unisono due voci maschili che appartenevano all’Hunter e al proprietario della mostra. I due sopraggiunsero correndo. «È opera vostra?» chiesero.
    «Voi siete due persone cattive!» li accusò Gon.
    «Non dovevo sottovalutarti perché eri un bambino» dichiarò il proprietario mostrando i pugni. «Signor Hunter gli dia una lezione! E lo stesso vale anche per la ragazzina»
    L’Hunter si avvicinò. Miiko prese all’istante la sua katana e fece mettere Gon dietro di lei, per difenderlo.
    «Non vorrai sfidarmi? Forse non ti è ancora chiaro che sono un Hunter» disse l’uomo con voce roca.
    «Tu non sei affatto un Hunter!» sentenziò Gon. L’uomo sbarrò gli occhi, sorpreso da tale affermazione. Impugnò il suo fucile. Miiko si fece ancora più attenta e si preparò a scattare per infilzarlo con la sua katana.
    «Hai un bel fegato a dire certe cose».
    Ad un certo punto, intervenne anche Leorio nella lite. Posò una mano sulla spalla dell’Hunter, che si girò all’istante, venendo colpito da un pugno.
    «Avevo dei conti in sospeso con lui» spiegò Leorio con un’alzata di spalle.
    «Sei stato grande signore!» esultò Gon battendo le mani. Miiko rise e mise a posto la sua arma.
    Leorio mise una mano nella camicia dell’Hunter, che era a terra stordito dal colpo, ed iniziò a tastare, cercando qualcosa. Tirò fuori poco dopo una carta.
    «Come pensavo. Del resto se fosse stato un vero Hunter non sarebbe stato sconfitto da un semplice pugno» disse stropicciando la carta.
    Dopo che Leorio diede dei soldi al proprietario per risarcirlo degli animali fuggiti, lui, Gon e Miiko iniziarono a correre a perdifiato verso la nave. La “Dio dei Mari” era appena salpata, ma non era lontana. Tuttavia, nonostante le loro grida, il capitano non li ascoltò. Gon decise allora di salire su uno scoglio, seguito da Miiko e Leorio. Lì, lanciò la lenza della sua canna da pesca verso la nave, che si attaccò precisamente.
    «Aggrappatevi a me!» urlò.
    Leorio e Miiko, un po’ sorpresi, decisero di formare una catena umana. Gon fece un balzo e i tre iniziarono a volare verso la “Dio dei Mari”. Miiko sentiva l’aria fredda sferzarle la faccia ed ebbe paura di cadere. Nonostante ciò, atterrò sulla nave con Leorio e Gon contro ogni aspettativa. Tutti i passeggeri si voltarono a guardarli, cercando di capire chi fossero quei tre pazzi.
    «Sento che anche quest’anno il viaggio sarà tutt’altro che noioso» disse il capitano. Miiko pensò che aveva ragione. Quell’avventura si prospettava ricca di emozioni.
     
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  4. •»Cuccìolà!×
     
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    Anche il secondo capitolo è fatto bene! :wub:
    Anche se a me non piace questo manga... però lo stai scrivendo bene *-*
     
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3 replies since 8/7/2012, 12:45   38 views
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